A Muky

I miei ricordi di Muky del suo Ucci risalgono il tempo lontano, al tempo del Caffè Caroli, nella stagione estiva sotto il portico degli Infantini, e poi del Caffè Massari ai primi rigori inventali per poi ritornarsene lì, all’aperto ai prossimi tepori primaverili. Erano salotti di artisti e mecenati cui fui introdotto bambino dal mio amatissimo zio Minghinì de Mengh, in italiano – lingua rifuggita perché lì si parlava e si leggeva rigorosamente in dialetto o in francese – Domenico Ghirlandi.Serantini, il giovane Marabini, Fernando Bucci, grande barzellettiere, lo zio, Rambelli, riverito, godeva di grande stima, assolutamente dovutagli, Giacometti, sempre con un taccuino in mano a fare caricature, Nonni, Filippo Monti … e Matteucci, molto spesso con la sua Muky e in un altro tavolo appartato, avvolto in un manto di silenzio e grande carisma e rispetto, Caffarelli, Lamberto Caffarelli e forse in virtù del nome che ci accomunava, faceva in modo, nell’andarsene, di passarmi accanto e di spettinarmi i capelli con un rude quanto affettuosa carezza.

Muky era la regina indiscussa di quei salotti, prima perché scelta da Matteucci – ma più probabile di lei fosse la scelta – che tutti tenevano in grande e meritatissima considerazione, poi perché seppe guadagnarsi stima e ammirazione, con il suo fare che sapeva di Poesia e sete di Vita e trasgressione dai canoni borghesi: sapeva di quella Parigi, di cui tutti favoleggiavano, seguendone la vita attraverso la lettura quotidiana de “Le Figarò” e per i più fortunati tramite pellegrinaggi in quel santuario di Arte che era la Parigi di allora.Muky, giunta a Faenza dallo studio romano di Leoncillo, fu colpita dall’enigmatico e bravissimo Matteucci – mai l’ho sentito chiamare da alcuno Domenico – dal quel suo stare ritirato quasi a contemplare tutto ciò che lo circondava e riconobbe subito, in quel suo stare silente e distaccato dalle cose del mondo, la grandezza del suo fare Arte. E lui la ritrasse in un magnifico ritratto scultoreo, che pare un bocciolo di rosa, in procinto di fiorire, forse ispirato da un monumento funebre che fece Rambelli, giovane, ancora liberty, ad una adolescente. Non mi è possibile pensare Muky, senza il suo Ucci, anche quando lui non era più: era comunque nel suo vivere, nel suo dire e raccontare, nel suo sguardo, anche quando negli ultimi anni si era molto offuscato. Ogni volta la incontravo mi ricordava quei tempi e quando le chiesi una sua opera per arredare il circolo degli artisti, che anche lei talvolta frequentava, volle darmi, ferma nella decisione, un’opera di Ucci, il magnifico bozzetto in gesso dell’opera dedicata alla resistenza che sta nel “viale della stazione”. Lei avrebbe voluto ne facessimo un bronzo, chissà non possa avvenire un giorno…

Muky era, e sono certo lo sia ancora ove ora sta, tenerissima e bambina sempre, anche nel suo trasgredire che era la cifra del suo vivere e talvolta suscitava scandalo nella borghesia benpensante di allora e che lei a bella posta talvolta si divertiva a coinvolgere sconvolgendone i costumi, come la volta che invitò una soubrette, Dodò d’Amburgo, dal discusso genere, ad una festa, una delle sue leggendarie feste, la quale danzando scoperse il seno invitando tutte le signore a farlo … e così fu! Muky, ora sei con il tuo Ucci e ti so felice, perché così mi dicesti di questo tuo desiderio, quando ci ritrovammo per un caffè alla Baracchina, oggi nobilitato in Bar della Stazione.Ciao, Muky, ci si rivede!

Lamberto Fabbri