In morte di don Giovanni Nicolini

Un caro Amico, Santo, don Giovanni Nicolini, se ne è ritornato al Padre. Non mi riesce proprio di essere triste. Certo, mi manca tanto, ma so che ora è lì, traboccante gioia, con il Suo mentore, don Giuseppe Dossetti, e anche con il mio e Suo caro Padre Guglielmo Gattiani che a giorni sarà venerabile e di cui presto vedremo una fiction di due puntate in televisione. Mi manca la sua parola affascinante, mi piaceva scherzosamente chiamarlo “Giovanni Crisostomo”, ma veramente la Sua bocca era di oro e le Sue parole perle preziose. Mi piace ricordare fra le molte volte che l’ho invitato ad incontri e conferenze un episodio molto bello. Organizzai in quell’anno di cui non ricordo la data, ma è facilmente identificabile perché ci fu una nevicata anomala. Faenza era sommersa dalla neve e nella Chiesa del Carmine in cui organizzai il Convegno “Natale e Bellezza”, quel giorno si ruppe il riscaldamento. Freddo tanto ma non abbastanza da non riempire la Chiesa di gente imbacuccata in sciarpe e cappotti, qualcuno più anziano con coperte fornite dalle suore ospitanti. Il Convegno si protrasse dalle 20.30 alle 00.30. Io introdussi poi cedetti la parola ai due presidenti, Pietro Bellasi e don Gianni Cova, poi fu la volta dei due relatori, Giorgio Celli e don Giovanni Nicolini, poi uno stuolo di interventi programmati di personaggi autorevoli, ricordo Pino Parini, Maurizio Malaguti, padre Flavio Gianessi, padre Dino Dozzi, Dino Gavina… Bene, parte Giorgio Celli, un po’ agguerrito, non da lui, ma forse il confronto con don Giovanni, lo stimolava, parlando della teoria evoluzionista con toni accesi, accalorati, con il suo alto sapere scientifico e letterario e il suo inarrivabile acume. Ecco ora don Giovanni Nicolini, pacato e tranquillo, con il Suo sorriso aperto e luminoso in volto, il suo dire colto a raccontare che dove lui è parroco, c’è un ragazzo irriso dagli avventori del bar del paese perché non ha mai avuto una morosa, perché un po’ timido, un po’ impacciato, il quale parte per un viaggio in un paese esotico. Al suo ritorno racconta di aver conosciuto una donna bellissima e di essersene innamorato. Al ché tutti a canzonarlo. Ma lui deciso replica: “È bellissima, la vedrete perché arriverà presto e la sposerò!” Lei giunge e lui la porta al bar. Ricordo le parole di don Giovanni: “ Forse era bella secondo una schema equino..” Soggiunse subito però che il suo pensiero rincorse questo suggerimento: “Se la Bellezza è un riflesso di Dio, allora per coglierla occorrono gli occhi del cuore.” E da lì partì la prolusione volta a far convergere l’Estetica delle idee con l’Estetica del Cuore. Io vedevo Giorgio, Celli, agitarsi pensoso, muovere le mani, cambiare di postura, bere acqua.
Partirono gli interventi dei discussants. Finisce il convegno la gente si appresta ad uscire.
Improvvisamente Giorgio chiede la parola con voce alta. La gente si ferma sorpresa e siede. E Giorgio dice: “Questa sera, antivigilia di Natale, il mio amico
Lamberto mi ha tirato un gancio. Anni fa ho scritto un racconto, un po’ buonista, ma siccome a quel tempo ero il più famoso rispetto agli altri scrittori che ora lo sono  altrettanto, Feltrinelli decise di dare il nome del mio racconto alla silloge: “ Il Cane di Natale”.
Raccontavo di un Signore di città che aveva un cane che amava, sì, forse, ma non abbastanza da sacrificarsi, data la sua età avanzata, a tenerlo con sé. Decide perciò di abbandonarlo in campagna. Ma dopo pochi giorni ne sente forte la mancanza. Corre a cercarlo ma non lo trova. La notte del Natale, lui a letto morente, sente grattare alla porta, spingerla e aprirsi. È il suo cane che corre festoso da lui ! Ora questo Dio che ho scacciato dalla mia vita, questa
sera di neve è ritornato a me !” E da lì se ne partì con una lunga prolusione a parlare del macrocosmo, dei buchi neri, del suono delle stelle, del microcosmo, dei
batteri che ripuliscono la terra, della vita delle anguille che dal mar dei Sargassi se ne tornano a Comacchio per riprodursi, dei salmoni che fanno sforzi immani per tornarsene a riprodursi donde erano partiti, della vita prodigiosa e meravigliosa delle api e pure del lavoro instancabile delle formiche e della gigantesca forza racchiusa nei loro apparentemente fragili corpi. E che come scienziato e con lui tanti suoi colleghi restii ad ammetterlo, non era possibile negare che tutta questa perfezione non fosse frutto del caso ma di un ente superiore, che quella sera disse forte con il nome di Dio. Le sue parole erano profondamente sincere e disvelavano un animo religioso e mistico, nascosto da tanto, troppo tempo. Questo era, è, don Giovanni Nicolini. Capace di aprire i cuori. 
Anch’io come tanti ho pianto ascoltandolo parlare. 
“Ora Giovanni caro ritroverai anche Giorgio, chissà che dire alto, fra due teste così fini! Saluta tanto Giorgio anche da parte mia, per favore, Giovanni”.

  Faenza, 27 febbraio, San Gabriele dell’Addolorata.

Lamberto Fabbri