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Mostra Retinoblastoma di Ilaria Facci – Nota informativa per i giornalisti

UNA SPERANZA CHE RINASCE:

Ridare ai bambini affetti da Retinoblastoma l’opportunità di essere curati

Sono ormai 50 anni che lavoro qui in CONGO, l’ex colonia belga, che dalla sua indipendenza de30 giugno 1960 ha vissuto un succedersi ininterrotto di vicende politiche drammatiche: ribellioni, dittature, guerre e instabilità politica permanente che hanno avuto conseguenze disastrose per la popolazione. 

La R.D. Congo è tra i Paesi africani un Paese dotato di immense risorse naturali di tutti i generi e per questo è il Paese africano più sfruttato da tutti i Paesi più potenti del mondo. 

La sua popolazione, da tanti anni martoriata da violenze di ogni genere, vive nella sua stragrande maggioranza uno standard di vita tra i più poveri del mondo.

Da 50 anni, munito di un semplice diploma di infermiere con specializzazione in medicina tropicale e leprologia sono al servizio di questa popolazione che ha subito con rassegnazione questo lungo e terribile calvario. 

Ho lavorato senza sosta e senza risparmiare energie per il loro bene. 

Per alcuni anni mi sono assunto anche l’oneroso incarico di “rilanciare” il funzionamento di un ospedale situato in una delle zone impervie delle foreste del Maniema. Un ospedale abbandonato da una Società Mineraria che aveva preferito cederlo con fiducia al vescovo della Diocesi di Kasongo, piuttosto che affidarlo allo Stato.

Attualmente, da più di 20 mi trovo a lavorare nella città di BUKAVU, capoluogo della provincia orientale del Sud-Kivu, al confine col Rwanda. 

Mi dedico in modo particolare all’assistenza nutrizionale e sanitaria dei bambini denutriti cercando di curare tutti i bambini poveri che si presentano con malattie di ogni genere. 

E mi occupo anche di altre attività sociali a favore dei bambini e ragazzi privati del diritto di andare a scuola e a favore della promozione sociale delle donne che vivono in condizioni di grande povertà.

Tra gli innumerevoli bambini ammalati che sono venuti per essere curati ho incontrato anche diversi casi di bambini affetti da Retinoblastoma

Ed è proprio per prestare assistenza ad una bambina di circa 6 anni affetta da questo terribile tumore in fase molto avanzata che ha preso inizio, in maniera del tutto imprevista e spontaneala CASA-FAMIGLIA “Tupendane” (in swahili “Vogiamoci bene”) che in breve tempo si è riempita di tanti altri bambini con diverse disabilità, oppure bambini rimasti orfani o abbandonati. 

Riguardo a quella sfortunata bambina di circa 6 anni di nome Lumumba Mariamu e che i medici dell’ospedale di Bukavu, dopo due ricoveri, avevano giudicato inguaribile, abbiamo avuto l’insperata opportunità di poterla inviare nel “Mulago Hospital”di Kampala, in Uganda, dove è stata operata e sottoposta a chemio e radioterapia.

Constatato l’esito positivo di quell’operazione, abbiamo preso l’iniziativa di inviare in quello stesso ospedale più di una ventina di altri bambini affetti dallo stesso tumore, quasi tutti ad uno stadio molto meno avanzato di quello di Mariamu. Tutti hanno subito lo stesso intervento chirurgico e ricevuto le stesse cure chemio e radioterapiche, ma dopo il loro rientro a Bukavu e il loro ritorno in famiglia sono uno dopo l’altro tutti deceduti

Questa amara constatazione mi ha indotto nel 2013, con intimo rammarico, a sospendere questa onerosa iniziativa rivelatasi praticamente inefficace.

Ma l’intenzione di aiutare questi bambini sfortunati e sofferenti non è scomparsa dal cuore. 

È rimasta solo latente, in attesa di migliori opportunità.  

Anno scorso, ho preso contatto col nuovo Direttore dell’ospedale generale di Bukavu e col nuovo giovane oftalmologo, ambedue molto aperti e disponibili ad impegnarsi a realizzare qualcosa di concreto e positivo in questo particolare settore.

Col necessario sostegno esterno di cui necessita questo nuovo progetto sanitario al quale sono disposto a dare la mia fattiva collaborazione, sono convinto si possa realizzare qualcosa di utile e concreto per assicurare le migliori cure “possibili” e, speriamo “efficaci”, a questi bambini che non hanno altra alternativa che la prospettiva di una morte atroce.

Sono in attesa di qualche provvidenziale intervento che ci consenta di dare inizio in questo ospedale di Bukavu a questo progetto che, per quanto posso, mi impegno a seguire personalmente.

Nel frattempo, essendo venuto a conoscenza che nell’0spedale di KAPGAY, in Rwanda, c’è attualmente una Equipe di medici che operano e curano quasi “gratuitamente” i bambini affetti da Rerinoblastoma, ho appena inviato un bimbo di tre anni affetto da questo tumore che si presentato da me una settimana fa’.  

In quel momento mi è venuta spontaneamente  in mente, con intima  nostalgia, il cordiale e positivo contatto che alcuni anni fa’avevo avuto l’opportunità di avere con la prestigiosa Equipe medica guidata dalla dott.sa Doris Adjistilianounell’ospedale di Siena dove esiste l’unico Centro specializzato per la cura del retinoblastoma in Italia, e avevo provato una immensa gioia sentendo la  generosa disponibilità a offrire una  loro eventuale collaborazione al nostro progetto che era ancora  in abbozzo e che in seguito, per avverse circostanze, non ha potuto realizzarsi. 

Per concludere questo breve profilo storico che riguarda il nostro impegno per far fronte a questa particolare patologia ho il piacere di rendere noto, con la più viva soddisfazione, il risultato “sorprendente”(per non dire “miracoloso”) ottenuto per Mariamu, il primo caso inviato nel 2008 nel Mulago Hospital di Kampala. 

Quella bambina di circa 6 anni.  operata allora in uno stato che definirei “disperato”, oggi, più di 10 anni dopo, è ancora viva ed è diventata una bella ragazza di 17 anni vivace e felice di vivere.

TESTO GIOVANNI GASTEL

C’è un a bellezza anche nel dolore? Si può traslare la malattia in opere che esaltino il valore della vita? C’è uno splendore in ogni vita unica e irripetibile in tutta la storia dei tempi? Si c’è e supera di slancio la malattia, L’ anomalia la differenza. Perché  tutti siamo feriti, chi nel corpo chi nell’anima e questo grumo di dolore e gioia si chiama vita. Ecco le opere di Ilaria  parlano con forza di questo condensarsi di vita e morte che è il nostro cammino terreno. E lo fa con la poesia insita in chi non osserva dall’esterno la malattia altrui  ma è anche la malattia. La malattia è parte integrante della sua vita di giovane donna e di artista. E allora non inutile pietà ma danza alla vita accettata per quello che è , un  viaggio comunque splendido. Le fotografiie di Ilaria sembrano dirci “ festeggia l’incredibile opportunità di essere al mondo anche con la malattia e il dolore. Questi ti renderanno visibili e tangibili i momenti di gioia che sono comunque molti”i. 

E cosi proviamo a danzare con lei questa splendida danza del dolore e della vita in un movimento eterno che lei immobilizza con grande sapienza facendolo diventare icona, immagine sacra. Grazie Ilaria per la tua arte, per la tua rasserenante dolcezza, per lo splendido inno alla vita che condensi davanti a noi col tuo lavoro. Ti voglio bene.

TESTO ILARIA FACCI

Non c’è cosa più difficile che parlare di sé. 

Per un artista, per ogni persona, credo significhi chiudere gli occhi per sfidarsi a guardarsi dentro.
Ma proverò a raccontarmi.
Tu mi domandi cosa sia per me la prima spinta per l’Arte.
Il Dolore.
Non c’è nutrimento più prezioso per l’Arte che il Dolore.
E poi, credo, il coraggio… dell’istinto.
Per questo gli Autoscatti: nel mio lavoro non c’è ‘premeditazione’.

La macchina fotografica, è apparsa nella mia vita così, per caso, come l’amore, come quelle storie che nascono da un incontro fortuito, che so, in un parco: Lei mi è stata donata da un’amica, che non se ne faceva più nulla.
E così ho iniziato a fotografare, che per me, ora so, significa scavare. Dentro di me.
Lì, dov’è il dolore.

Da piccola mi sono ammalata di cancro, “Retinoblastoma” è il termine scientifico di una forma tumorale aggressiva che colpisce agli occhi (nello specifico, la retina), soprattutto nei primi anni di vita.

Fu proprio una fotografia a salvarmi la vita: attraverso uno scatto col flash fatto da mia madre, essa mostrò una macchia bianca sulla mia pupilla sinistra, anziché rossa.

Insospettita da questo e da alcuni sporadici riflessi all’iride, mi portò ad un controllo specialistico. 

L’esito degli esami determinò che si trattava di Retinoblasma mono focale, dovevo essere enucleata per evitare che il cancro raggiungesse il cervello. 

Ho perso l’occhio. Ma sono sopravvissuta.

È forse questa mancanza, questa incapacità di vedere come voi ‘normali’, che inconsciamente mi ha poi riavvicinato alla fotografia, dopo quasi trent’anni.

Mi piace pensare che tornò ‘da grande’ per salvarmi la vita, nuovamente; questa seconda volta per insegnarmi la bellezza del donarsi al mondo, di accettarmi cosi come sono, ed il coraggio discendere nel profondo, e di inseguire i miei veri sogni.

La fotografia mi ha dimostrato

Che è  sempre l’ombra a indicarci la luce.

Quando faccio foto, io non penso.
Non parto mai da un tema, non faccio alcuno studio preparatorio.
Non traggo ispirazione, consciamente e direttamente, da nulla.
Solo scatto.
E poi, quando sento che è il momento le carico sul computer e le vedo: e solo allora scopro ciò che stavo cercando di dire, ma senza rendermene conto.
È questo il bello della fotografia per me: ci rassicura, perché pensiamo sia solo un macchinario, ma in realtà è uno specchio. 

E all’improvviso, come uno schiaffo, ti mostra chi sei.
Sei tu.
La fotografia, quella vera, quella che rimane, non mostra affatto ciò che vediamo. Mostra ciò che siamo.
E forse, quelle tribù che temono che rubi loro l’anima, non hanno poi tutti i torti…

Questo è il mio modo di fotografare, che mi porta inconsapevolmente a ripercorrere, ogni volta, i momenti dolorosi del mio passato; i miei sbagli.
Così è nata la serie “Retinoblastoma” (2014): per mostrare, o forse dimostrare, che un limite come la semi cecità può diventare un ‘dono’. Dipende solo ‘da dove lo si guardi ’.
Così “Io non ho paura- contro le botte in cucina” (2014): un urlo sulla violenza domestica e sulla necessità del bambino, che, fattosi adulto, sopravvive intrappolato in un mondo parallelo di sesso, e personaggi di fantasia della sua infanzia.
“Padre Nostro” e “Mea Culpa” (2015): la mia irreligiosa, libera sessualità.

“L’Incubo” (2018): Ciò che resta dell’amore raggiunto, dopo l’orrore patito.

E ad abbandonarli, finalmente.

Perché l’Arte si nutre del dolore è vero, ma una volta sfamata, quel dolore si trasforma in altro: in poesia, forse; in un aiuto per chi leggerà quelle storie illustrate nelle foto, a capire che l’Arte vince.
Sempre.

L’Arte vince. Nelle rovine di una città distrutta.
L’Arte vince. La morte del suo artista.
L’Arte. Si riproduce tra le scaglie di una corteccia in un albero, tra migliaia, in luoghi lontani e sconosciuti.

L’Arte, solo cura

E mai muore

Mia madre mi racconta che i dottori sospettarono che fossi nata col tumore.
Sebbene mi sia stato diagnosticato a circa due anni, forse il cancro si è sviluppato con me, quando ero ancora un feto.
Ed è come se io avessi fatto mia l’idea dell’indissolubile coerenza paradossale del binomio della vita e della morte: una attinge dall’altra, continuamente. In una danza perpetua di bellezza e brutture.

La Fotografia è il mio Diario, in cui scrivo di me stessa, e a cui non voglio mentire, ben consapevole che, comunque, non potrei. 

Lei, la macchina, se ne accorgerebbe subito.
Piuttosto è Lei, a farmi scoprire così un nuovo buio, ogni volta, dentro di me. Ad illuminarlo, ogni volta, per farmi vedere.

E questo cieco vedere è la mia Arte.

Alla donna che più ho amato, una volta dissi: “Tu sei i miei occhi”.

Per chi ha un solo occhio, come me, questo è certamente il complimento più bello che esista.

Ma mi sbagliavo.

L’amore che provavo per lei è diventato così la mia carta bianca.
La macchina fotografica, la mia scrittura.
E la fotografia, le mie risposte.

La Fotografia è gli occhi che il cancro ha cercato di portarmi via.
Senza riuscirci.
E l’Arte, è l’errore che si fa bellezza.
Quando lo si impara ad amare.

Grazie,
Ilaria Facci

TESTO LAMBERTO FABBRI

Devo ad Ilaria molto: mi ha saputo insegnare e confermare quanta Bellezza è riposta pure nel dolore e nella sofferenza. 
E questa mostra nasce per un suo desiderio e trova la sua realizzazione per l’aiuto dei tanti amici de “La Tua Mano per la Pace”, in particolare l’amico Domenico Palli, Moreno per gli amici e per quanti lo ritengono “prossimo”, per l’amico Beppe Matulli che ci ha introdotto presso la magnifica sede dello Spedale degli Innocenti da cui questo evento itinerante ha principio  e i tanti che hanno fatto loro questa Buona e Bella causa. Troppi da elencarli tutti, ma di alcuni leggerete i nomi nel colophon di questo libro che vuole rimanere testimonianza di un luogo di incontro ideale in cui tanti cuori e professionalità si sono donate per raccontare il dolore e il male di un terribile tumore, il Retinoblastoma, a molti sconosciuto. Il progetto conteneva però una sua complicazione nel volerlo mostrare attraverso la Bellezza inalterata di questi bambini colpiti dal tumore, anzi dal male resa ancora più splendente,  perché illuminata di ulteriore luce, quella  “dei santi, dei martiri, degli eroi” come raccontava Hugo Pratt. 
Spero venga compresa questa nostra idea. In questo giorno di inaugurazione,  prossimo al Santo Natale, che vede principiare il progetto “Retinoblastoma” qui nella meravigliosa sede dello Spedale degli Innocenti nel sesto centenario della sua fondazione, quale augurio più Bello se non quello  di saper cogliere orizzonti  di Bellezza anche là dove era impensabile potesse trovarsi, grazie al grande talento di Ilaria. 

Lamberto Fabbri    
Faenza, 7 dicembre 2019, Beata Vergine del Santo Rosario.