Ho appreso da un post di una stimata amica virtuale della morte di Giulia, che solo pochi giorni fa, mentre si apprestava a partire per il mare, avevo “sentito” per una intervista che volevo farLe fare dalla mia collaboratrice Asia, per il mio sito, per raccontare l’avventura Grande del Mulino di Bazzano, soprattutto, di cui in Italia poco se ne parla mentre in Francia e in America si tengono corsi universitari su di essa, oltre che della Sua vita piena e dei personaggi che ha incontrato. Giulia era un gigante e ha fatto storia. Giustamente nel 2006 fu insignita della massima onorificenza italiana di Grand’Ufficiale della Repubblica.
Comunque di Giulia, poetessa, scrittrice, giornalista, fotografa, monaca buddhista… molto già si sa o si può leggere, io qui vorrei ricordare la persona bella che era.
Un ricordo in particolare, dei tanti, mi sovviene, di quando la invitai a presentare in Triennale assieme a Giovanni Gastel un libro che avevo realizzato per una mia scoperta, una giovane fotografa, traboccante di talento, Ilaria Facci, nell’occasione di una mostra che tenni assieme all’amico Vittorio Sgarbi a Urbino, nel Palazzo Ducale.
Orbene l’eleganza, la signorilità, “lo stile” che contraddistingueva Giovanni si ritrovava parimenti in Giulia, tanto che mi sentì quasi costretto a porre la domanda, fuori contesto, sul concetto di eleganza, e ne scaturì quasi una conferenza in tal proposito, una lezione di vita per il pubblico che affollava quella sala, fitta di giornalisti, e per i nomi dei relatori e per la concomitanza della settimana della moda.
Giulia era una persona dotata di una rara eleganza, dovuta non solo alle sue origini e alle frequentazioni con artisti e personaggi che hanno fatto la Storia, ma in lei era innata, la circonfondeva come un’aura, le traspariva nel volto, abitava nei suoi occhi, nel suo sorriderTi, nell’eloquio tanto colto quanto umile e accogliente.
Raccontava cose straordinarie, incontri storici, eventi tanto importanti da determinare il successo di un’ artista, come avvenne per Guccini, quando scrisse “Scirocco”, per la separazione di Giulia da Adriano Spatola, avventure di vita, quasi di Hamigwayana memoria, con un fare semplice, come fossero cose di comune spettanza quotidiana, come riporre nell’armadio un abito indossato per poi mettere il pigiama e andarsene a dormire. Così racconterebbe la sua dipartita: ha riposto l’abito consueto per indossarne uno intessuto di Luce e di Bellezza.
Lamberto Fabbri