Nella traduzione di Davide Rondoni, con tavole di Roberto Pavoni, questo libro d’arte si deve, come cura e grafica, all’amico Lamberto Fabbri, da sempre illuminato operatore culturale, intellettuale e promoter di artisti e poeti. Per chi non lo sapesse, Juan Ramón Jiménez Mantecón (Moguer 1881 – San Juan 1958) è stato uno dei più importanti poeti e scrittori spagnoli di tutti i tempi. Premio Nobel per la letteratura nel 1956, dopo i primi studi compiuti a Moguer, a undici anni fu messo nel collegio dei Gesuiti di Puerto Santa Maria, vicino a Cadice. Là avvertì le prime tristezze, provocate dalla lontananza dalla famiglia. Conclusi gli studi secondari, Jiménez si iscrisse, per volontà del padre, alla Facoltà di Diritto dell’Università di Siviglia, ma non concluse il corso, poiché la sua aspirazione era volta all’arte, infatti, fin da fanciullo, amava la pittura e la letteratura Tra il 1900 e il 1904 una grave forma di depressione lo costrinse a trascorrere lunghi periodi in una clinica ad Arcachon, vicino a Bordeaux, da cui uscì solo per intraprendere tre viaggi, in Francia, in Svizzera e in Italia. Sempre pervaso dalla malinconia, si trasferì in una clinica di Madrid, dove organizzò riunioni alle quali partecipano artisti e poeti, quindi si stabilì presso la dimora del suo medico curante, Louis Simarro, che lo introdusse nell’ambiente della Residencia de Estudiantes, dove conobbe le opere di Nietzsche e Schopenhauer. In seguito si legò in amicizia con Unamuno, Machado, Ortega y Gasset e i più giovani García Lorca, Alberti e Dalí. Nel 1916, quel tanto ripresosi, si imbarcò per New York dove sposò Zenobia Camprubì Aymar, conosciuta a Madrid tre anni prima e con la quale aveva lavorato alla traduzione dall’inglese dei testi di Rabindranath Tagore. Tornato in Spagna, poco dopo lo scoppio della Guerra Civile, il poeta, insieme alla consorte, lasciò la sua patria e di nuovo fu negli Stati Uniti, dove tenne conferenze e corsi nella Carolina, nel Maryland, a Washington, a Riverdale. Nel 1946 ancora fu colpito dalla depressione, dalla quale si riprese recandosi in Argentina e in Uruguay, dove fu accolto da tutte le università. Esiliato a vita dal governo franchista causa il suo opporsi a quella dittatura, non poté più tornare in Spagna, al che si stabilì a Porto Rico dove insegnò presso l’università, ma nel 1956 di nuovo si fece largo la depressione, che si acuì anche a seguito della morte dell’amata moglie. Ben poco poté godersi il Premio Nobel, infatti, nel 1958, a sua volta morì. “Platero y yo” (Platero ed io – Platero era l’asinello del poeta) uscì, per la prima volta, in versione ridotta, nel 1914. Una seconda versione, completa di tutti i centotrentotto racconti, apparve nel 1916. “Platero è piccolo, peloso, soave: così soffice di fuori che si direbbe tutto di cotone, senza ossa. Solo gli specchi di mica dei suoi occhi sono duri come due scarabei di vetro nero. […] è tenero e affettuoso come un bambino, una bambina … ; ma secco e duro come una pietra”, così Juan Ramón Jiménez presenta Platero al lettore, immergendolo da subito in una narrazione per frammenti, fatta di immagini poetiche.
Sullo sfondo ci sono la campagna e la natura andaluse, in particolare il paesaggio di Moguer, cittadina nativa del poeta, tratteggiata in modo finissimo, evocativo. Comunque, in primo piano, c’è sempre l’asinello, descritto e raccontato attraverso scene quotidiane, pregne di un lirismo raffinato, inoltre, sempre scandita, appare la relazione di profondo amore che unisce lo scrittore all’animale. Tra realtà e fantasia, il legame risulta così forte che Jiménez legge le vicende della sua vita e del mondo attraverso gli occhi e i sentimenti del suo amico asino, trasformando il monologo in un dibattito a più pensieri, e sempre sul filo dei ricordi, in continua riscoperta della leggerezza tipica dell’infanzia, della libertà ingenua e genuina, quella che si dimentica crescendo, e del sentimento che gli uomini spesso annientano a seguito delle loro scelte orribili e innaturali. Libro magnifico, nonché oggetto, questo curato da Lamberto Fabbri, per veri intenditori e collezionisti.
Gian Ruggero Manzoni